LE CONFESSIONI

LE CONFESSIONI- 4.TEMPO CABARET

4. Tempo cabaret

Mi sento fuori.
Fuori dal tempo, fuori dai sensi, ben oltre questo mondo. Mi sento come un giocattolo nelle mani di un bimbo distratto: perso dalla presa delle sue dita.
E sono fuori. Fuori tempo, disarmonica, con la riluttanza che un iperattivo avrebbe di fronte alla statica rigidità delle regole. Mi tocca starci in mezzo, stretta dentro, non è il mio posto e me lo sento. Non è la mia gente.
È solo una costrizione che mi chiude il collo in un anello piccolo pure per un dito. Io a questo luogo non appartengo, non può contenermi, non posso starci. Mi ha tirato la canna del suo fucile dietro le cosce, le mani legate dietro la schiena, gli occhi chiusi da una benda. Sono di nuovo schiava, di nuovo prigioniera. Ma io voglio vedere, io voglio guardarlo in faccia quello che mi tira a terra come una preda, come se già fossi morta. Mi vuole così: inibita e mansueta, codarda, impaurita, ammutolita e inerme. Come fossi pongo, a piacimento malleabile.
Mi dicono “Aspetta!”, aggiungono “Chiudi gli occhi che questa vita è una guerra! Fino a trent’anni è una trincea dove si combatte senza tregua.” Le mie gambe forsennate di ventenne, allenate ad impazienza, vogliono correre libere sul campo di battaglia. Non le so fermare, non lo voglio fare.
E saranno bucate dai proiettili, recise dai coltelli, dalle bombe fatte a brandelli.
Ma so che se anche dovesse essere una la possibilità di poter schivare le mine, arrivare alla fine del tetris in piedi, evitando le granate, le mie gambe correranno matte. Saranno felici e sorde in mezzo a tutti quei boati.
Rientrerò presto nel mio cerchio armonico. Nessun cappio, nessun giogo, nessun frastuono. Nessun padrone che non sia io, nessuna regola che non sia mia.
Sembra utopico, ma io non so che sia questo strambo e astratto male che tutti chiamano utopia. Sto a queste condizioni soltanto perchè so che presto le abbandonerò. Lo so da sempre che non è per me che sono vive.
Il tempo è come uno spettacolo a teatro: attentamente studiato perchè il pubblico ne resti ammaliato, straziato, rapito, spiazzato e stupito.
Il tempo è un cabaret, varietà dove non si sa cosa succederà.
E allora grido a gran voce da dietro le sbarre di questa prigione:
Che mi lascino stare, mi lascino vivere e mi lascino scrivere!

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