Turbolenze

Ho l’abitudine di portare gli occhiali, proprio sugli occhi, un paio di lenti vere perchè se anche non avessi l’abitudine di indossarle, per forza di cose dovrei farlo visto e considerato che non ci vedo. Per abitudine dico un sacco di frasi che sono sempre le stesse, come ad esempio la stessa che dice la voce registrata alle sbarre dei parcheggi, oppure il centralino di qualsiasi posto prima che si possa parlare con un operatore, che si ripetono scandite ad intervalli piuttosto regolari nel corso di una mediamente noiosa giornata, una delle quali è: “Ma i miei occhiali?”. Li ho come parte integrante della mia faccia al punto che non so più se l’accessorio siano loro o io, ma a volte capita che non mi ricordi di averli su e cosa succede? Succede che dico la seconda frase che pronuncio più spesso: “Che palle devo lavarli di nuovo…” e sapete perchè? Perchè nel tentativo (sempre fallimentare) di ritrovarli, ho spiaccicato le mie dita proprio su quelle lenti immacolate che non sarebbero dovute essere sul mio naso, sporcate dalle mie impronte digitali. Ed ecco che il mio modesto sistema ottico diventa improvvisamente una sorta di “touch ID”. Quindi poi succede che esca la mia terza frase in ordine di esalazione: “Voglio le lenti a contatto”; questo perchè dopo averli lavati, i miei occhiali diventano incredibilmente scivolosi sulla perpendicolare del mio setto nasale, ma so già che sarà un desiderio dall’attualizzazione impossibile perchè i miei condotti lacrimali automaticamente si prosciugano a contatto con qualsiasi cosa non siano solo pupille o bulbi oculari. Allora si scatena in me una sorta di ribellione chiusa tra il vetro di un vasetto da pesto rigorosamente mono-porzione, giusto per rendere il tutto ancora più difficile. Aspetto solo l’età che giustificherà il fatto che sulle astine dei miei occhiali sia incollata una bella catenella da pensionata: colta ma stanca.

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